Review: Reiss Bhakdi Corona False Alarm (Italian)

Karina Reiss - Sucharit Bhakdi, Corona Fehlalarm? Zahlen, Daten, Hintergründe, Goldegg Verlag, Wien-Berlin, 2020 (Corona Falso allarme? Cifre, dati e contesti, Goldegg editore, Vienna-Berlino 2020)

di Detlev Schild (professore emerito di neurobiofisica e fisiologia dell’Università di Göttingen)
(tr. dal tedesco di Francesca Rigotti)

Karina Reiss (Università di Kiel, Germania) and Sucharit Bhakdi (Università di Mainz, Germania) rispondono alla domanda se la parziale sospensione dei diritti umani fondamentali durante l’epidemia di Covid 19, senza precedenti dal 1949, sia necessaria. Gli autori trattano specificamente la situazione in Germania, offrendo numerosi paragoni con altri paesi.

«Il virus è ancora tra noi!», «è sempre più assassino», «mai come in Italia, non vogliamo le condizioni italiane»; «guardate gli Stati Uniti, l’India, il Brasile!» e «in Europa ci aspetta la seconda ondata». Davanti alla raffica di informazioni e commenti di questo genere le persone reagiscono in maniera molto diversa: alcuni non ne possono più di sentire litanie di questo genere, altri si chiudono a riccio tremanti di paura. Chi ha ragione? Molti hanno smesso di ascoltare o leggere le notizie per il loro contenuto monotono, altri divorano avidamente le nuove cifre di casi registrati.

Allo stesso tempo si è diffusa tra molti la notizia che nelle unità di terapia intensiva di tutti gli ospedali tedeschi non si trovano quasi più pazienti con infezioni da Covid-19. I pazienti che in un paese di 80 milioni di abitanti come la Germania sono ricoverati, al 6 luglio 2020, in un reparto di terapia intensiva, sono esattamente 146 (https://intensivregister.de/#/intensivregister). Non sono stati mai più di 2.500 anche durante il picco della pandemia. E questo con una capacità di 25.000 posti iniziali di terapia intensiva divenuti rapidamente 32.000: il che significa una occupazione delle unità di terapia intensiva del 10% circa. Di saturazione non si può né si poteva certamente parlare.

Ora: una crescita esponenziale di persone contagiate avrebbe sopraffatto la capacità del sistema sanitario tedesco? A questa e ad altre simili domande rispondono Karina Reiss (direttrice di ricerca nella Clinica Universitaria di Dermatologia, Venerologia e Allergologia dell’Università di Kiel) e Sucharit Bhakdi (professore emerito di Microbiologia medica e igiene dell’Università di Magonza) nel volume Corona Fehlalarm? Zahlen, Daten, Hintergründe, Goldegg Verlag, Wien- Berlin, 2020 (Corona Falso allarme? Cifre, dati e contesti, Goldegg editore, Vienna-Berlino 2020). Il libro fornisce esattamente quel che promette nel titolo ed è altamente raccomandabile, oltre ad essere diventato rapidamente un bestseller.

Nei primi due terzi del volume viene ben illustrato il corso della pandemia tramite cifre, la decorrenza dei «casi» e altri grafici. Nell’ultima parte vengono descritti gli effetti collaterali, da non sottovalutare sul piano economico, psicologico, sociologico e geriatrico, nonché ancora tutti da valutare sul piano giuridico. Alcuni punti avrebbero potuto essere più concisi (vedi sotto) e l’ultima parte del libro soffre di eccessive ripetizioni. Nello zelo della presentazione inoltre, alcuni esperti vengono spesso menzionati senza titolo, mentre altri lo sono. I lettori saranno poi forse infastiditi dal tono offeso col quale gli autori deplorano che non ci si sia avvalsi della consulenza di più esperti, soprattutto nei settori delle malattie infettive, pneumologia, epidemiologia e terapia intensiva. Molti condividono lo stesso rimpianto, a posteriori, forse persino lo stesso ministro della Sanità.

Queste piccole imperfezioni del libro di Bhakdi e Reiss si accettano comunque volentieri, dal momento che gli autori sono riusciti, nonostante la difficoltà e la complessità del tema, a rispondere alle domande del titolo in maniera comprensibile per un pubblico non esperto e senza ricadere in tecnicismi incomprensibili (alcuni termini tecnici vengono comunque spiegati separatamente). La valutazione della pandemia da parte di Reiss e Bhakdi non è stata scritta sine ira et studio, sia chiaro, eppure dall’osservazione a posteriori essa presumibilmente risulterà in futuro molto più vicina alla vera evoluzione della pandemia di quella presentata dal Ministro della Sanità, dai suoi consiglieri e dalle autorità loro subordinate.

Per trasmettere l’idea che il libro è davvero degno di lettura segue qui un riassunto, denso e arricchito da commenti in corsivo, del pensiero degli autori, che trascura di necessità parecchi dettagli.

A. Coronavirus precedenti

Reiss e Bhakdi iniziano con alcune informazioni introduttive: i virus Corona precedenti al SARS-Cov2 sono stati responsabili a livello mondiale del circa il 15% delle infezioni influenzali, che decorrono nella maggior parte dei casi in maniera innocua o non rilevata, raramente grave e molto raramente mortale.

B. SARS e MERS

Negli ultimi decenni alcuni virus della famiglia dei Corona si sono comportati diversamente:

- 2003: il virus SARS (SARS-Cov) era pericoloso e portò alla morte del 10% dei contagiati. Non era però altamente contagioso, così che la sua diffusione potè essere rapidamente contenuta. Ci furono al mondo 800 decessi.

- 2012: il virus MERS aveva una letalità superiore (30%) ma non era molto contagioso (circa 850 decessi).

C. Lo scoppio dell’epidemia a Wuhan

Alla fine del 2019 a Wuhan/Hubei comparve il SARS-Cov-2, molto contagioso. Si parlò di 83.000 contagiati e di quasi 5.000 decessi, corrispondenti a una letalità del 6% circa, SE i contagiati registrati erano veramente tutti contagiati, cosa difficile da immaginare. Il numero di soggetti infetti era superiore di un fattore x (sconosciuto) e la letalità, di conseguenza, inferiore dello stesso fattore x. In ogni caso la letalità era decisamente inferiore a quella di SARS-Cov e MERS.

D. Lo sviluppo in Lombardia, Italia

Primi casi in Lombardia: SARS-Cov-2 si diffonde rapidamente. La cosa allarmante furono i molti e inaspettati decessi. I tassi di mortalità dell’infezione da Coronavirus erano tuttavia, in molte altre parti d’Italia, così come in altri paesi (es. la Corea del Sud), chiaramente inferiori, per cui non è giustificato parlare genericamente di «condizioni italiane». Si attende da parte delle autorità locali la dovuta spiegazione delle cause della elevata mortalità in Lombardia.

E. Errori nella gestione delle cifre

1. Quanto è alto il numero dei soggetti infetti e come cambia nel tempo?

2. Quante persone sono morte della malattia infettiva?

3. Per quali persone la malattia infettiva è pericolosa?

Risposte corrette a queste domande descriverebbero la diffusione e la pericolosità della pandemia. Reiss e Bhakdi criticano il fatto che le cifre fornite e rese publiche non sono in grado di rispondere alle domande di cui sopra. Sono stati infatti commessi due errori fondamentali:

Errore n. 1. Qualsiasi risultato positivo del tampone (test o screening) del SARS-Cov-2 è stato contato come «caso» o «caso di Covid-19» senza distinguere i sintomi presentati dalla persona. L’opinione pubblica è stata bombardata per mesi con questi casi, benché il loro numero – salvo poche circostanze, vedi sotto – non sia significativo.

Errore n. 2. Ogni persona deceduta e che aveva precedentemente contratto il virus SARS-Cov-2 è diventata un caso di «morte di Covid-19», senza distinguere se i pazienti erano deceduti per altre malattie o di Covid19, la malattia scatenata dal SARS-Cov-2.

F. Che cosa significa: «Casi di Covid-19»?

Nel caso di risultato positivo al tampone non è stata operata alcuna distinzione che permettesse di capire se si trattava:

- - di una infezione asintomatica (dunque di persona sana)

- - di una infezione con sintomi leggeri (superabile senza o con pochi medicinali)

oppure

- - della contrazione della malattia infettiva Covid-19 scatenata da SARS-Cov-2.

Tutte le persone contagiate dal virus - sane e malate senza distinzione – sono state gettate dall’inizio in un unico pentolone. I soggetti sani con tampone positivo sono stati designati come «casi Covid-19», dove la «d» sta per disease=malattia, anche se si tratta di persone non malate ma al massimo contagiose per un determinato periodo. Gli autori formulano alle informazioni governative e alla stampa il rimprovero, grave ma giustificato, di aver fuorviato il pubblico sul «numero dei casi» o sul numero dei «casi di Covid-19».

Gli autori si chiedono poi se il tipo di tampone (sviluppato nel laboratorio del prof. Drosten e applicato in tutto il mondo) chiamato anche test PCR a causa della tecnica impiegata – abbia una qualche validità e giungono alla conclusione che non ne ha pressochè alcuna: in primo luogo, i tamponi non sono mai stati effettuati su gruppi rappresentativi di soggetti ma su gruppi molto speciali – per esempio pazienti da operare o in case di riposo – sicché i risultati non possono essere generalizzati all’intera popolazione. Non se ne può quindi dedurre alcuna informazione affidabile sul corso di una pandemia.

Ovviamente il test ha senso per es. su pazienti in attesa di operazione, per sapere se devono essere operati in sala operatoria di isolamento e poi assistiti in un reparto di isolamento.

In secondo luogo ci sono - come per tutti i test – risultati falsi positivi e falsi negativi, anche se in questo caso la portata dei risultati errati non era chiara. Gli autori illustrano il problema delle categorie rappresentative e dei risultati falsi positivi dei test – particolarmente per piccoli numeri – con una analogia presa dall’ornitologia:

Se si osservano e si contano gli uccelli migratori come il nibbio nel loro percorso più breve, in primo luogo (è raro che li si possa contare tutti e per questo) se ne contano sempre troppo pochi, talché è difficile se non impossibile concluderne il numero complessivo. In secondo luogo è possibile scambiare alcune poiane per nibbi (risultati falsi positivi) o prendere alcuni nibbi per poiane (risultati falsi negativi). Se nel caso del tampone del Cov-2 la probabilità dei falsi positivi è del 5%, 500 persone di 10.000 sottoposte al tampone presenteranno un risultato positivo, pur non essendo state contagiate dal virus,

Reiss e Bhakdi portano come esempio il fatto che nella Charité (l’ospedale universitario di Berlino) a metà aprile più di 7.500 impiegati sono stati sottoposti al tampone: 25 di questi (lo 0.33%) erano positivi.

Anche se il test applicato fosse eccellente e consegnasse soltanto l’1 % di risultati falsi positivi, ci si dovrebbe aspettare che 75 di 7.500 (1%) risultassero contagiati (falsi positivi) pur non essendolo. Quindi tutte le 25 persone risultate positive al test erano invece non contagiate.

Morale degli autori: bisogna conoscere la probabilità di falsi positivi e non si deve prestare alcuna attenzione a risultati di fatto non validi.

G. Che cosa significa: «deceduti di Covid-19»?

Gli autori lamentano giustamente il fatto che i media e la politica abbiano dichiarato e continuino a dichiarare tutti i deceduti «morti di Covid-19», sia che la causa di morte sia stato il virus, sia che sia stata un’altra malattia. Sul certificato di morte è lecito scrivere «Covid-19» esclusivamente se la causa del decesso è stata la malattia «Covid-19». Le cifre dei morti di Covid-19 sono risultate troppo elevate perché i deceduti propriamente di Covid-19 sono stati contati insieme a tutti coloro che sono morti per un altro motivo (incidente stradale, infarto, ...) e che per caso erano risultati positivi al tampone. Non soltanto l’informazione era deviante, ma anche fonte di paura e terrore.

H. Cause di morte e letalità

Lege artis tutti i deceduti per cause di morte non chiare devono essere soggetti a autopsia (cosa che può essere diversa nei vari paesi). Questo però non è successo durante la pandemia praticamente mai e in nessun luogo, talvolta per motivi comprensibili. Tuttavia l’autopsia sarebbe stata l’unica strada attendibile per accertare per quali persone il virus è pericoloso, ma tale opportunità è stata ampiamente persa.

Un unico medico legale (il prof. Püschel di Amburgo) – e dispiace constatare che lo abbia fatto contro le raccomandazioni esplicite del Robert-Koch-Institut – ha condotto le autopsie su tutti i deceduti dei quali era nota l’infezione con SARS-Cov-2: il risultato è stato che tutti soffrivano di patologie pregresse.

Talvolta i media riferivano di morti in età relativamente giovane e senza patologie pregresse, il che non vuol dire che queste non fossero di fatto presenti; durante l’autopsia vengono infatti spesso individuati disturbi non noti dall’anamnesi.

Gli autori rilevano pertanto che il numero di persone contagiate è molto superiore a quello delle persone risultate positive al tampone, e valutano, in base a diversi lavori scientifici, la percentuale dei cosiddetti «morti di Covid-19» tra gli infetti allo 0.4%. Dal momento che il numero di deceduti primariamente di SARS-Cov-2 è inferiore a quello dei cosiddetti «morti di Covid-19», la vera letalità cadrebbe tra lo 0.1 e lo 0.3%, in linea con uno studio del prof. Streek dell’Università di Bonn, senza differire molto – e questo è importante! - dai tassi di letali di altre epidemie di influenza.

I. I media

Quanto ai media, Reiss e Bhakdi li accusano di copertura incompleta e di parte, soprattutto per aver evitato di trasmettere informazioni rassicuranti. Per esempio, uno studio scientifico condotto a Marsiglia ha analizzato le cause di morte di pazienti deceduti per malattia delle vie respiratorie, chiedendosi se questi stessi pazienti si fossero contagiati con la SARS-Cov-2, oppure se avessero un altro tipo di Coronavirus. Dal momento che non c'erano differenze significative, gli autori di questo studio sono arrivati alla conclusione che la mortalità del SARS-Cov-2 è stata probabilmente sovrastimata.

J. «Effetto-Bergamo- Test-di- Drosten»

Di fatto Reiss e Bhakdi schizzano – senza chiamarlo così – un «Effetto-Bergamo-Drostentest»: la processione di camion militari carichi di bare ha girato il mondo ed è stata associata con i nuovi «casi di Covid-19» basati sul tampone sviluppato dal prof. Drosten. Questa associazione, non giustificata quanto fatale, ha gettato molte persone in uno stato di ansia irrazionale e prodotto una pressione politica alla quale il Ministro Spahn e tutto il governo non sono stati in grado di opporsi, sentendosi piuttosto costretti a proclamare limitazioni dei diritti fondamentali eccessive e cariche di conseguenze. In maniera simile sono andate le cose in molti paesi, rispetto ai quali comunque Reiss e Bhakdi mostrano una serie di differenze interessanti.

K. Andamento e gestione della pandemia: le limitazioni dei diritti fondamentali

Sulla base dei dati del Robert-Koch-Institut gli autori mostrano che a partire da metà marzo il tasso di riproduzione (Rt) era sceso da più di 3 all’1 scarso (21 marzo) e che il «lockdown» introdotto due giorni dopo, il 23 marzo, e che dovrebbe essere chiamato piuttosto limitazione dei diritti fondamentali non ha contribuito al calo a meno di 1. Di conseguenza – e tenendo conto del tempo di incubazione e della durata dell’infezione - il picco relativo delle persone testate come positive (relativo al numero complessivo di tamponi) era già sceso a fine marzo/inizio aprile. Reiss e Bhakdi non negano che la limitazione dei diritti fondamentali abbia portato a un ulteriore calo del tasso di riproduzione a partire da aprile; sottolineano però che la limitazione dei diritti fondamentali, in quanto non necessaria, ha portato notevoli svantaggi e nessun vantaggio.

L. Danni collaterali

Gli autori affrontano solo brevemente i problemi economici creati dalla limitazione dei diritti fondamentali (restituzione del debito, insolvenze etc.). Piú gravi paiono loro gli effetti complessi sul corpo e sull’anima delle persone chiuse in casa: una sfilza di diverse malattie, in parte conseguenza fatale di operazioni rinviate, la solitudine, l’isolamento, disumano e indegno, degli anziani imprigionati nelle case di riposo, nonché gli effetti, possibili e sicuri, sui bambini: stress psicologico, ansia e ritardi e carenze nell’istruzione.

Gli autori affrontano anche, con cautela, gli aspetti giuridici. In linea di principio sono possibili limitazioni dei diritti fondamentali come le summenzionate misure di isolamento, ma ogni singola misura deve essere oggetto di controllo continuo per verificare in primo luogo se è ancora necessaria, primo, e, secondo, se è adeguata. Se, dove e come questi controlli hanno avuto luogo viene descritto purtroppo soltanto in pochissimi casi. Se ne deve concludere che molti giuristi hanno dormito? Quelli dell’iniziativa SchlussJetz.org di sicuro si sono svegliati.

M. Stategie alternative

L’efficacia delle misure adottate nei vari paesi è difficilmente paragonabile a causa delle diverse condizioni. Paragonando le mortalità in vari paesi, gli autori affermano in ogni caso che la Svezia, fortemente criticata per la cifra di «morti di Covid-19» per milione di abitanti, non presenta affatto un picco di mortalità ma è situata nella parte mediana superiore; molti di più sono i «morti di Covid-19» per es. in Spagna, in Italia o nel Regno Unito. Nella Repubblica Ceca e in Turingia la parziale sospensione delle limitazioni delle liberà fondamentali non ha avuto conseguenze sull’andamento della pandemia; in nessun luogo si è verificata la temuta esplosione di «casi», cosa che rappresenta un ulteriore argomento del fatto che le misure, per lo meno in quei momenti, non avevano più alcun effetto sulla pandemia. Gli autori chiedono pertanto che tutte le limitazioni dei diritti fondamentali vengano immediatamente revocate. Al momento della redazione del presente testo circola una comunicazione (download pdf) redatta da medici di terapia intensiva che parla per sé confermando le tesi di Reiss e Bhadki.

N. ...e la prossima volta?

Alla domanda su quale sarebbe stata una soluzione migliore della strategia di limitazione dei diritti fondamentali, Reiss e Bhadki danno la seguente risposta: un approccio ragionevole per proteggere i gruppi maggiormente a rischio, tenendo conto degli aspetti etici.

Nel caso di una futura epidemia in qualche modo paragonabile la strategia migliore sarebbe secondo Reiss e Bhadki la protezione coerente del gruppi a rischio soprattutto in centri di cura e di ricovero per anziani.